Disoccupazione, immigrazione e terrorismo sono, nell’ordine, le questioni che preoccupano più gli italiani, ma cresce anche l’inquietudine per i temi ambientali. I dati sono raccolti da Lorien Consulting – una rilevazione sulla sensibilità ambientale degli italiani e su opinioni e comportamenti in tema di rifiuti, in continuità con il pluriennale monitoraggio sui temi ambientali che Lorien conduce nell’ambito del suo Osservatorio – e presentati oggi in occasione del terzo Forum Rifiuti organizzato a Roma da Legambiente, La Nuova Ecologia e Kyoto Club, con la partnership del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati.
Nonostante la presenza ancora primaria del tema dei migranti (2015) e del tema del terrorismo (2016), la preoccupazione degli italiani nei confronti delle tematiche ambientali torna complessivamente ai livelli di due anni fa: il 35% si ritiene preoccupato. Gli italiani ritengono inoltre che per contrastare i danni ambientali siano necessari investimenti strutturali piuttosto che semplici interventi contingenti, in primo luogo la riconversione energetica vero le fonti rinnovabili e la messa in sicurezza del territorio italiano.
I cittadini ritengono che i principali responsabili della salvaguardia dell’ambiente siano proprio loro stessi (57%), più di qualunque altra istituzione o realtà organizzata. Oltre a ritenersi informati sulle tematiche ambientali, si sentono anche responsabili in prima persona e sono anche sempre più disposti a impegnarsi per un cambiamento (+ 0,6 punti su una scala da 1 a 10 solo nell’ultimo anno).
Parlando di rifiuti: gli italiani ritengono la gestione inefficiente dei rifiuti nel novero delle più importanti minacce ambientali (28%), subito dietro a inquinamento e cambiamenti climatici (30%), inquinamento industriale di acque, terreni e aria (34%) e inquinamento atmosferico (44%). Per oltre il 50% si ritengono informati sul tema della raccolta differenziata e de riciclo: è il tema ambientale sul quale si ritengono meglio informati. Il 93% degli italiani fa la raccolta differenziata (solo il 7% dichiara di non farla) e di questi il 59% lo fa perché la ritiene un’azione importante, non per obbligo o per convenienza. Tra chi non la fa, invece, si lamenta soprattutto la mancanza di infrastrutture adeguate (mancanza di cassonetti).
Ad oggi la situazione in Italia è equamente suddivisa tra: raccolta porta a porta (43%), raccolta stradale (46%) e mista (11%). Cala la sensazione (pur ancora ampiamente maggioritaria) che la prima rappresenti a tutti gli effetti il miglior sistema.
Sempre secondo la ricerca presentata oggi dall’amministratore delegato di Lorien Consulting, Antonio Valente, gli italiani sono inoltre fortemente orientati verso un modello di economia circolare in cui si vada a delineare un sistema dove non esistono scarti e in cui i nuovi prodotti si realizzano attraverso materiali riciclati. Il 92% ritiene che rappresenterebbe un vantaggio economico per il Paese.
“Una buona notizia – secondo la presidente di Legambiente Rossella Muroni – che rispecchia peraltro una tendenza già in corso: nel settore dell’economia circolare il nostro paese si sta già impegnando, con progressi crescenti. Per ogni milione di euro di pil, infatti, produciamo 42 tonnellate di rifiuti a fronte delle 65 prodotte dalla Germania per esempio, grazie alla capacità di recupero e riuso dei rifiuti nel settore produttivo, un settore che è piuttosto sviluppato, anche se la situazione si presenta molto diversa da regione a regione, con aree che sono campioni a livello europeo e altre che continuano a investire in discariche e inceneritori. Ora occorre sottrarre alla discarica tutto quello che può essere destinato al riuso e al riciclo, e i risultati della ricerca Lorien lasciano ben sperare per il futuro di un obiettivo non più derogabile”.
“I dati che emergono dalla ricerca – ha spiegato il presidente del Consorzio Obbligatorio degli Oli Usati, Paolo Tomasi – dimostrano la bontà del lavoro svolto in questi anni dai Consorzi di filiera insieme alle associazioni ambientaliste. Questo costante impegno di comunicazione e sensibilizzazione ha contribuito ad accrescere l’attenzione degli italiani verso le tematiche ambientali e, in particolar modo, la consapevolezza dell’importanza dei comportamenti individuali nella tutela dell’ecosistema. Oggi ben il 92% degli intervistati considera l’economia circolare un vantaggio per il Paese: un traguardo importante per chi, come il COOU, da ben 32 anni opera quotidianamente per raccogliere un rifiuto pericoloso come l’olio lubrificante usato e per trasformarlo in una nuova risorsa”.
“Insieme alla sensibilità ambientale – ha detto Francesco Ferrante, vicepresidente del Kyoto club, nel suo intervento che ha aperto la seconda giornata del Forum – ciò che cresce è la consapevolezza che l’economia circolare è anche la scelta più conveniente per il nostro sistema di imprese. Siamo il secondo paese manifatturiero d’Europa, povero di materie prime: è evidente che gestione integrata dei rifiuti, chimica verde, green public procurement debbano essere gli strumenti per una politica industriale in grado di dare risposte alle nuove sfide di un’economia sempre più globalizzata”.
Sempre nella giornata di oggi, al Forum Rifiuti, è stato presentato il rapporto dell’osservatorio Recycle di Legambiente, sulla sfida nel settore delle costruzioni, che fa il punto sull’innovazione nei cantieri e nei capitolati per ridurre il prelievo da cava e l’impatto sull’ambiente. Un tema che rientra pienamente nel discorso sull’economia circolare.
Infatti, un rilancio del settore che permetta di ridurre l’impatto sugli ecosistemi e al contempo di creare lavoro e ricerca applicata è concretamente possibile, come bene dimostra la trentina di esempi di cantieri raccolti nel dossier, di edifici e infrastrutture dove sono stati impiegati materiali provenienti dal riciclo. Il Juventus Stadium e il Palaghiaccio di Torino, la Council House di Melbourne o l’edificio del California Academy of Science di San Francisco, ma anche gli asfalti con gomma riciclata in Val Venosta, gli aggregati riciclati nel passante di Mestre o la piattaforma logistica dell’interporto di Fiumicino, sono solo alcuni esempi delle buone pratiche in corso. Queste e le altre esperienze raccontate nel Rapporto dimostrano come esistano oggi norme codificate basate sulle prestazioni, che permettono ai materiali da riciclo di poter competere sul piano tecnico e anche del prezzo, come il processo sia già in corso, spinto dalla Direttiva 2008/98/CE, che prevede che al 2020 si raggiunga un obiettivo pari al 70% del riciclo dei rifiuti da costruzione e demolizione.
Oggi non esistono più motivi tecnici, prestazionali o economici che possano essere utilizzati come scuse per non utilizzare materiali provenienti da riciclo nelle costruzioni. E i vantaggi che questa prospettiva apre rilevanti. In primo luogo in termini di lavoro e attività imprenditoriali, perché le esperienze europee dimostrano che aumentano sia l’occupazione che il numero delle imprese attraverso la nascita di filiere specializzate.
In secondo luogo, nella riduzione del prelievo da cava. In Italia esistono oggi circa 2.500 cave da inerti e almeno 15.000 abbandonate, di cui oltre la metà sono ex cave di sabbia e ghiaia. Arrivando al 70% di riciclo di materiali di recupero si genererebbero oltre 23 milioni di tonnellate di materiali che permetterebbero di chiudere almeno 100 cave di sabbia e ghiaia per un anno.
Infine, da un punto di vista della riduzione di emissioni di gas serra. Per esempio, aumentando la quantità di pneumatici fuori uso recuperati e utilizzati fino a raddoppiarla al 2020, diventerebbe possibile riasfaltare 26.000 km di strade. Il risparmio energetico ottenuto, considerando che non si userebbero più materiali derivati dal petrolio, sarebbe di oltre 400.000 MWh. Ossia il consumo in più di due anni di una città come Reggio Emilia, con un taglio alle emissioni di CO2 pari a 225.000 tonnellate.
Una nota dolente nel quadro attuale è sicuramente, allora, l’assenza di numeri certi sui rifiuti prodotti dalle attività di costruzione e demolizione. In molte Regioni non esiste alcun controllo o filiera organizzata del recupero e non si conteggia lo smaltimento illegale, per cui in Italia si arriva a riciclare appena il 9% dei rifiuti da costruzione e demolizione, secondo i dati Eurostat, a differenza di Olanda, Germania e Danimarca che sono sopra il 90%, grazie all’attuazione di precise politiche per aiutare la filiera del riciclo, e in questo modo hanno ridotto il prelievo da cava e l’impatto sull’ambiente.