“Si viri ca un’avevu nenti da fare e vosi scriviri sti quattru righi”
(Si vede che non ha nulla da fare e ha voluto scrivere quattro righi)
Mi sono sempre chiesto come si formano gli orientamenti di voto, specie nel nostro paese. Non ne sono mai venuto a capo, ovvero non l’ho mai capito del tutto.
Secondo logica — almeno quella economica — la popolazione meno abbiente dovrebbe sostenere le forze popolari, quelle che in teoria dovrebbero difendere chi ha redditi bassi o addirittura è disoccupato. Le classi medie dovrebbero guardare con interesse al centro, e quelle più ricche alle forze conservatrici, che tutelano lo status quo e la libertà d’impresa.
Ma è davvero così?
Cerchiamo di analizzare, naturalmente “A modo mio”.
Da quanto si vede in giro, pare l’opposto: chi ha redditi bassi spesso vota per forze conservatrici, chi ha un reddito medio oscilla tra centro e progressismo, e chi è benestante… be’, non si capisce bene dove stia, diciamo che sono “liberi battitori”, pronti a cambiare casacca in base a dove tira il vento — o meglio, dove scorre il denaro.
In gioventù, la mia generazione era molto più impegnata politicamente. Eravamo i figli di seconda generazione del ’68, o meglio, la generazione post-sessantottina.
Ma cos’era davvero quella generazione?
La generazione del Sessantotto era composta da giovani che, a fine anni ’60, si ribellarono a un sistema rigido, autoritario, patriarcale. Volevano un mondo più giusto, più libero, con pari opportunità per tutti. Studenti, operai, intellettuali: un fronte variegato che riempì le piazze e le università di sogni, cori, speranze.
Noi siamo arrivati subito dopo, e in qualche modo abbiamo beneficiato delle loro conquiste. La democrazia si era allargata, le università si erano aperte anche ai figli degli operai, e molti di noi — me compreso — siamo riusciti a laurearci, cosa che per la disponibilità economica dei nostri padri sarebbe stata impensabile.
Certo, poi è arrivata la realtà: le nostre lauree non ci hanno reso tutti “vincenti”. Alcuni sì, ma pochi. La maggior parte ha dovuto accettare compromessi, sopportare ingiustizie, faticare per emergere in un sistema dove spesso contava più il cognome che il merito.
Ah, la meritocrazia… questa sconosciuta!
E poi c’erano loro, quelli che io ho chiamato “rivoluzionari da salotto”, i cosiddetti figli di papà: quelli che nei cortei urlavano più forte di tutti, che si proclamavano rivoluzionari, che sognavano il mondo nuovo… e che oggi occupano comode poltrone nei piani alti.
Che fine hanno fatto, questi rivoluzionari?
“Nenti”, si sono zittiti e hanno accettato i voleri dei padri. “Rivoluzione finita, tutti a casa”, e a casa, spesso, in villa o in appartamenti di lusso.
Come dice un vecchio detto: “Quanto è bella la rivoluzione, tanto poi non cambia niente.”
I poteri forti c’erano ieri, ci sono oggi e continueranno, tranquilli, imperterriti, anche domani.
Un po’ di numeri per capire chi comanda davvero. Sapete cari lettori qual è la percentuale di chi detiene i redditi più alti nel mondo?
Secondo i dati del 2021, in media, la metà più povera della popolazione detiene ricchezza per 2.900 euro (per ogni adulto), il 10% più ricco invece 550.900 euro.
E se guardiamo alla ricchezza, la forbice si allarga ancora di più: l’1% più ricco detiene la metà del patrimonio mondiale, e il 10% ne controlla l’85%. Numeri da brivido.
Basterebbe che questi signori super-benestanti versassero anche solo una minima parte del loro patrimonio per eliminare la fame nel mondo.
Ma è pura utopia: chi è ricco vuole diventare ancora più ricco e chi è povero resta schiacciato. L’avidità non ha limiti, non conosce vergogna, non teme crisi.
Ritornando alla mia disamina, non è facile analizzare il voto solo in base al reddito: troppe le variabili, città grandi e piccole, quartieri popolari e zone “bene”, nord e sud, montagna e metropoli.
La mia è solo una sensazione, ma temo fondata: noi italiani amiamo farci del male. E non poco.
Tafazzi docet!
Eppure, basterebbe guardarsi indietro per capire. La storia ci ha insegnato tutto, ma noi, testardi come muli, non impariamo mai nulla.
Sbagliamo, cadiamo, ci lamentiamo… e poi ripetiamo gli stessi errori, come se fosse la prima volta.
Traetene le vostre conclusioni!
Alla prossima, cari lettori.
N.B. In copertina l’ultima mia realizzazione, un po’ di autocelebrazione non fa male!


