giovedì, 18 Aprile 2024
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Istruzione – Fotografia Istat boccia l’Italia. Anief: quadro tendenziale che dura da oltre 20 anni

Oggi l’Istituto nazionale di statistica ha pubblicato il rapporto ‘Noi Italia’: nella graduatoria delle persone di 25-64 anni con livello d’istruzione non elevato, il nostro Paese ha un’incidenza quasi doppia rispetto all’Ue28 (rispettivamente 40,1% e 23,5%)”. Inoltre, in Europa il nostro Paese continua a ricoprire l’ultima posizione, 25,3% contro il 38,7% della media Ue28. Sugli abbandoni scolastici siamo al quartultimo posto (14,7% contro una media Ue28 dell’11%). Peggio di noi solo Romania, Malta e Spagna. Per la quota di Neet siamo al top in Europa con 2,2 milioni i giovani di 15-29 anni che nel 2016 non studiano e neppure lavorano.

L’Ufficio studi Anief ricorda che l’Italia già nel 2000 spendeva il 2,8% in meno della sua spesa pubblica rispetto alla media OCSE (Italia 9,8% – Ocse 12,6%): dieci anni fa era sempre all’ultimo posto persino tra i Paesi G20 (32° posto) con un -4,1% (Italia 8,9% – Ocse 13,0%). Né la situazione è migliorata in rapporto al P.I.L.: -0,9% nel 2000 (Italia 4,5% – Ocse 5,4%) e -1,6% nel 2010 (Italia 4,7% – Ocse 6,3%), dove ci collocavamo al terzultimo posto (31°). Inoltre, siamo l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri. Nell’ultimo periodo sono, persino, aumentate dal 25% al 100% le tasse richieste dagli atenei.

Marcello Pacifico (Cisal-Anief): bisogna incentivare gli sforzi, innanzitutto, sul fronte della dispersione scolastica, maggiorando gli organici delle aree a rischio, migliorando l’orientamento e innalzando l’obbligo formativo fino alla maggiore età. Quello che i nostri governanti non hanno compreso è che si deve spendere più per la formazione: perché, nella cultura, nella ricerca, nella scuola, nell’università ogni finanziamento non è una spesa, ma un investimento per rilanciare lo sviluppo economico del Paese. Spendere per formare capitale umano significa credere nella capacità civilizzatrice e lavorativa dell’uomo, gettare le basi per la costruzione di una società equa e solidale e per il rilancio dell’economia nazionale.

L’Italia è uno dei Paesi moderni con bassi investimenti e livelli d’istruzione, un ridotto numero di laureati, troppi ragazzi che lasciano i banchi prima del tempo e il record di giovani che non studiano né lavorano. Lo ha detto oggi l’Istat attraverso il rapporto “Noi Italia”. L’istituto nazionale di statistica ha fatto sapere che per quanto attiene alla spesa pubblica in istruzione il nostro Paese occupa “il quartultimo posto: incide sul Pil per il 4,1%, valore più basso di quello medio europeo (4,9%)”.

L’Italia risulta quartultima anche nella graduatoria delle persone di 25-64 anni con livello di istruzione non elevato, con una incidenza quasi doppia rispetto all’Ue28 (rispettivamente 40,1% e 23,5%)”. Inoltre, “in Europa il nostro Paese continua a ricoprire l’ultima posizione, 25,3% contro il 38,7% della media Ue28”. Per quanto riguarda gli abbandoni scolastici, “l’Italia si piazza anche in questo caso al quartultimo posto (14,7% contro una media Ue28 dell’11%). Peggio di noi solo Romania, Malta e Spagna. Un primato però l’Italia lo detiene: per quota di Neet siamo al top in Europa con oltre 2,2 milioni di giovani di 15-29 anni che nel 2016 non studiano e neppure lavorano”.

L’ufficio studi Anief ha da tempo anticipato questi dati, ricordando che l’Italia è l’unico Paese dell’Ocse che dal 1995 non ha aumentato la spesa per studente nella scuola primaria e secondaria a dispetto di un aumento in media del 62% degli altri. Nell’ultimo periodo sono, persino, aumentate dal 25% al 100% le tasse richieste dalle Università agli studenti fuori corso mentre sono ancora in corso le procedure di preselezione per l’accesso ai corsi di specializzazione sul sostegno con costi proibitivi (fino a 200 euro) per la selezione e per la frequenza (anche più di 3.000 euro), segno della difficoltà organizzativa degli Atenei di poter garantire l’accesso all’istruzione superiore.

Sempre il sindacato, ha calcolato che l’Italia già nel 2000 spendeva il 2,8% in meno della sua spesa pubblica rispetto alla media OCSE (Italia 9,8% – Ocse 12,6%): dieci anni fa era sempre all’ultimo posto persino tra i Paesi G20 (32° posto) con un -4,1% (Italia 8,9% – Ocse 13,0%). Né la situazione è migliorata in rapporto al P.I.L.: -0,9% nel 2000 (Italia 4,5% – Ocse 5,4%) e -1,6% nel 2010 (Italia 4,7% – Ocse 6,3%), dove ci collocavamo al terzultimo posto (31°). In dieci anni la spesa pubblica italiana dedicata all’istruzione già di per sé l’80% di quella destinata dagli altri Paesi Ocse, è quindi scesa del 10% in controtendenza all’aumento seppur modesto del 3% registrato sempre negli altri Paesi, così da abbassarsi al 67% rispetto a livelli intermedi.

Secondo Marcello Pacifico, presidente nazionale Anief e segretario confederale Cisal, “oggi l’Istat ha confermato un quadro tendenziale avviato da oltre un ventennio. È chiaro che senza maggiori investimenti qualsiasi programma di rilancio dell’istruzione pubblica è destinato a naufragare. Occorre incentivare gli sforzi, innanzitutto, sul fronte della dispersione scolastica, che in alcune province della Sicilia supera il 40 per cento, mentre l’Europa ci indica come soglia il 10 per cento. Ciò può avvenire solo in un modo: maggiorando gli organici delle aree a rischio, ottimizzando l’orientamento e innalzando l’obbligo formativo fino alla maggiore età”.

Quello che i nostri governanti non hanno compreso – continua Pacifico – è che si deve spendere più per la formazione: perché, nella cultura, nella ricerca, nella scuola, nell’università ogni finanziamento non è una spesa, ma un investimento per rilanciare lo sviluppo economico del Paese. Spendere per formare capitale umano significa credere nella capacità civilizzatrice e lavorativa dell’uomo, gettare le basi per la costruzione di una società equa e solidale e per il rilancio dell’economia nazionale”.

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