venerdì, 19 Aprile 2024
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Ho provato, ho fallito. Non mi arrendo, riproverò

Ieri mattina, giornata di festa per la ricorrenza di Ognissanti, ho voluto intraprendere la salita per monte Pellegrino per arrivare, a piedi al Santuario.

Bello attrezzato, tuta sportiva, con sotto maglietta tecnica, scarpe da trekking, calze anti-vesciche, zainetto in spalla (corredato di tutto: borraccia termica, disinfettante, piccola tovaglia di spugna, e ammennicoli vari), l’immancabile k-way – anche se il sole spaccava le pietre -, il cappellino sportivo e bastoncini di ordinanza, ovvero da trekking.

Armato di buona speranza mi affido con un appello accorato alla nostra padrona, chiedendogli di assistermi nell’“acchianata” (così come amiamo chiamarla noi locali), affinché arrivassi alla meta, perché sulla riuscita nutrivo qualche dubbio, visto i malanni che mi affliggono.

Mi faccio accompagnare da mia moglie alle pendici del monte, all’inizio della cosiddetta scala (come la chiamiamo noi palermitani). Noto subito che non sono solo, c’è una coppia che ha iniziato la salita poco prima di me. Lungo il percorso incontrerò varie persone, la maggior parte giovani, ma anche qualcuno di mezza età, con mio sommo rammarico constato che, il più vecchietto sono io. Sono le ore 8:30 e già c’è gente che percorre l’acchianata in discesa e, mi chiedo: ma questi signori a che ora hanno fatto la salita?

Camminando, camminando ovvero incedendo piano piano, comincio a sentire caldo, mi fermo appoggio i bastoncini sul muretto che delimita la salita, mi tolgo lo zainetto e mi levo il k-way, rimetto lo zaino in spalla e ricomincio a salire, dopo avere fatto una foto del ponte che da lì a poco avrei attraversato.

Il primo ponte della salita

Menticavo, era la prima volta che usavo i bastoncini e non nascondo che un non ero proprio a mio agio. Non sapevo come usarli, comunque penso di esserci riuscito, ma il suono che emetteva la punta metallica sulla pavimentazione di ciottoli della stradella, diciamo che mi dava un po’ fastidio. Avrei preferito, immergermi nella natura che mi circondava non udendo questo suono fastidioso. “Pazienza” mi sono detto.

Intanto cominciavano i primi doloretti, sia alle braccia sia alle gambe. Poi il caldo, dico siamo a novembre e ancora sto cavolo di temperature elevate anomale per il periodo dovute all’anticiclone africano, mi stava facendo sudare troppo, allora decido di togliermi la giacchetta della tuta e di rimanere solo con la maglietta a mezze maniche. Finalmente un fastidio in meno. Ne approfitto e fotografo il panorama.

Panorama della città visto dalla prima rampa

Man mano che avanzavo, il mio cuoricino pupum, pupum, batteva bello forte, guardo il mio watch e controllo i battiti, az… 145. “Altini” mi dico. Allora che fare? Sosta regolamentare per fare scendere i battiti e bere un tanticchia, ma non sono potuto andare oltre un sorsetto, non riuscivo a deglutire. Sto poggiato sul muretto non so quanto tempo, mi accorgo che l’orologio mi riporta all’ordine chiedendomi: «l’allenamento è finito?». Svelto svelto e con mano tremante riesco a pigiare il tasto «no».

Dopo un po’ controllo nuovamente i battiti, erano scesi ma non di molto a «120». Quindi decido di proseguire, tra me e me mi dico convintamente “ce la devo fare”. E ricomincio a camminare, sempre con quel rumore fastidioso dei bastoncini, ma oramai mi ci sto abituando.

Ricominciano i dolori, nella sosta che avevo appena effettuato, mi ero illuso che fossero terminati, non solo alle gambe e alle braccia ma anche al petto. A questo punto mi dico, “rallenta e prosegui più lentamente”.

Ma niente il dolore al petto si fa sempre più lancinante. A questo punto mi rivolgo nuovamente alla Santuzza dicendole, di darmi la forza per proseguire, ci tengo troppo a mantenere la mia prummissione (credo che nella lingua dei padri si dica così).

Cos’è «a prummissione?»

È’ una promessa che, i fedeli fanno al proprio santo di riferimento per ricevere una grazia.

Cos’è una grazia? Una grazia in ambito religioso è una benevolenza che Dio o una divinità manifesta verso l’essere umano. Si solito si dice – per grazia ricevuta – questo indica una persona che testimonia pubblicamente la sua riconoscenza per aver ricevuto quanto richiesto (spesso si tratta di richieste per guarigioni o similari).

A tal proposito, tanto così per approfondire la conoscenza – ci tengo a scendere nei particolari per voi lettori – la tradizione più famosa delle «prummissioni» è la festa “di lu Munti” a Racalmuto dedicata appunto alla Madonna del Monte. Racalmuto è un paese dell’agrigentino che, ha dato i natali oltre che a mia nonna materna al grande Leonardo Sciascia. Per chi fosse interessato vi rimando all’articolo di Marco Scintilla (molto interessante) al seguente link: https://marcoscintilla.wordpress.com/2017/07/02/i-prummisioni/

Vi chiedere: ma tu per cosa o perché hai chiesto a Santa Rosalia una grazia?

Potrei non rispondere per pudore, ma non ho nulla da nascondere. L’ho chiesta per il mio canuzzo, il trovatello, al secolo Kratos. Ha dieci anni e, in tutti questi dieci anni, non ha mai avuto qualche malattia. Ma come si dice, glien’é venuta una “o buona o niente”. Si è sentito male, lo abbiamo portato a controllo in una clinica veterinaria cittadina e lo hanno ricoverato, perché il suo quadro clinico era molto compromesso. Io e mia moglie a quella notizia ci siamo più che rattristati. I nostri cagnolini, non sono solo animali da compagnia, ma sono i nostri figlioletti pelosetti.

Molti lettori non lo capiranno perché alcune persone legano meglio con i cosiddetti “armaluzzi” che con i propri simili. Gli rispondo. “provate, è troverete i cosiddetti armaluzzi migliori di tante persone, loro non chiedono nulla ma ti danno tutto. Loro non ti tradirebbero mai e ti vogliono bene senza chiedere nulla in cambio. Provate a cercare nelle persone che vi circondano queste qualità disinteressate.

A casa una mattina arriva la solita telefonata che ci teneva aggiornati sullo stato di salute del canuzzo. Non vi dico le lacrime versate da me e mia moglie, alla notizia che avevamo appena avuto. Il canuzzo era entrato in coma. Le cure fino a qual momento non avevano dato i risultati sperati, i medici non riuscivano a capire bene cosa il cane avesse e, ci invitavano a recarci in clinica per prendere una decisione.

Non so come mia moglie abbia guidato fino in clinica, cercavamo di non guardarci in viso, visto i lacrimoni che scendevano copiosi. Per tutto il tragitto non abbiamo proferito parola, il silenzio più assoluto.

Arrivati in clinica il dottore che stava seguendo Kratos, ci informava che c’era una sola decisione da prendere: l’eutanasia indotta. Non so come mi uscì la voce e, gli chiesi: “ma non possiamo aspettare ancora qualche giorno?”. Il dottore rispose: “speravo che me lo chiedeste, anch’io voglio sperare che ci sia qualche miglioramento, adesso proviamo un’altra cura ma, ribadisco, la situazione è molto seria”.

Poi ci portò a vederlo, lo abbiamo accarezzato e, sinceramente, non so se fu mia impressione ma mi era sembrato di vederlo muovere, ma mia moglie mi disse che lei questo movimento non lo aveva visto.

La sera, naturalmente né io né mia moglie abbiamo cenato. Prima di andare a letto mi sono ritrovato con le mani congiunte e, tra una lacrima e l’altra ho implorato Santa Rosalia di intercedere per Kratos.

Ma come tu, che sino a qualche anno fa ti professavi quasi ateo, adesso ti sei messo a pregare? Ebbene sì, non era la prima volta, e poi parliamoci chiaro, per uno che come me che è cresciuto in parrocchia e che, ha fatto il chierichetto, e soprattutto con dei genitori ed un fratello ferventi credenti, potevo uscire fuori razza?

Ebbene sì, sono un credente. Credente a modo mio, non vado spesso in chiesa, ma ogni tanto ne sento il bisogno e vado a pregare. In tutto questo, mi sono convinto che sono più religioso di chi ogni giorno si batte il petto, va tutti i giorni in chiesa, ma i fatti che compie sono lontani da chi è veramente credente.

Per non deviarvi oltre il dovuto, stringo il racconto. Saranno state le nostre carezze, saranno state le nostre parole o sarà stata la mia preghiera ma, quella mattina riceviamo la solita telefonata dalla clinica, il solito dottore tutto allegro ci informava che Kratos era uscito dal coma e dava leggeri segni di ripresa.

Di lì a pochi giorni, anche se ad oggi non si è capito cosa gli avesse provocato il coma, certo i valori del sangue erano molto sballati, si è ristabilito ed abbiamo continuato la cura a casa e, piano piano nel suo ambiente e con suo compare accanto per fortuna, si è ripreso. In tutti i casi deve essere tenuto sotto controllo perché è sempre a rischio.

Tutto e bene ciò che finisce bene. E quindi?

Grazia ricevuta, non mi rimaneva altro che mettere in atto quanto promesso. Ma, vi posso assicurare che non è solo per questo che volevo intraprendere la salita, era già da tempo che sognavo di rifare il percorso che tantissimi anni prima avevo già fatto insieme con gli amici.

Detto fatto, o almeno ci ho provato. Già, ma mi son dovuto arrendere perché il dolore al petto era diventato davvero insopportabile e non nascondo che mi sono preoccupato, perché lo ammetto ho qualche problemuccio con il mio vecchio cuoricino.

Mentre aspettavo il soccorso di mia moglie mi sono fatto questo serfi, ops serfie

Mi sarebbe piaciuto che, a questa età, battesse chessò ad esempio per qualche bella fanciulla – ti piceresse – mi dice spesso un mio caro amico. E perché no, alla mia età, mogliera non leggere ti prego, io per il si e per il no, dopo la pubblicazione del racconto, tolgo mattarelli e coltellacci dalla cucina, sarebbe fantastico vivere una nuova storia.

Ma il solito monellaccio del mio amico mi risponde: “ma idda cu tia chi c’avi a fare, u pani cuotto?” (Frase tipica sicula che indica che alla tua età la gentil fanciulla, con te, cosa ci deve fare il pane cotto? Il pane cotto è tipico, dalle nostre parti per indicare cosa mangia chi non ha più i denti. Alludendo che oramai l’arnese mascolino non funziona più). “Bastardello ancora l’arnese c’è e funziona”. A questo punto della discussione risate sonore da entrambe le parti.

Ci scherziamo un po’ su, che ne abbiamo dalla vita, ogni occasione è buona per ridere. Il riso, non quello che si mangia, ma quello che esprimiamo con il cuore fa bene alla salute ed al morale. Un sorriso non ha mai fatto male a nessuno, anzi.

Tornando alla salita, dopo essermi arreso, mi sono riproposto che, dopo essermi fatto controllare da un cardiologo, voglio riprendere il mio cammino, oramai è una sfida tra me e la montagna.

Comunque non tutto il male viene per nuocere (altra frase fatta, ma quando ce vò ce vò e, questa volta ce stà). Se non avessi interrotto la salita e non mi fossi recato al Santuario a pregare e a chiedere scusa alla Santuzza, non avrei incontrato una mia cara collega che stimo molto. La cosa è reciproca, prova ne è che ci siamo fatti un prio immenso e non nascondo che, il suo abbraccio sincero mi ha emozionato.

Lei me la sono ritrovata in quel momento molto triste della mia permanenza nell’azienda cui ho prestato servizio per quasi trentasette anni. Ma questo è un altro racconto. L’importante è stato rivedermi con lei dopo più di un anno. La Santuzza mi ha fatto un bel regalo, ed anche per questo io l’ho ringraziata e gliene sarò sempre grato.

Alla prossima cari lettori.

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