“Palermo è ancora Palermo?”. È questa la domanda alla quale si è cercato di rispondere lo scorso 1 luglio in piazzetta Bagnasco. A fare il bilancio di una città che cambia molto, per non cambiare mai, è stato Roberto Alajmo, a vent’anni dall’uscita di “È stato il figlio”. A dialogare con l’autore, Camillo Scaduto.
Il libro
La famiglia Ciraulo vive in uno dei quartieri più poveri della città, eppure davanti alla porta di casa tiene in bella vista una Volvo nera, acquistata con i soldi ottenuti in seguito alla morte della loro bambina: un risarcimento destinato alle vittime della mafia. L’arrivo di questa automobile fiammante è una sorta di miracolo rionale, sembra aprire le porte di una nuova esistenza piena di possibilità per tutta la famiglia: per il padre Nicola, patriarca indiscusso, professionista del precariato ai limiti della legalità; per la madre Loredana, dimessa, arrendevole, eppure regista occulta di imprevedibili strategie; per la nonna Rosa, logorroica maestra di reticenza; per il nonno Fonzio, sempre sfuggente per questione di principio. E infine per il figlio, Tancredi, con le sue malinconie improvvise, indecifrabile agli occhi dei parenti e del quartiere, controfigura paradossale del suo intraprendente omonimo del Gattopardo. “È stato il figlio” è un noir antropologico, un giallo eretico che sembra iniziare. Ogni capitolo del romanzo aggiunge nuovi particolari all’intera vicenda e allo stesso tempo sembra divagare, costringendo il lettore a fare i conti con una città a tratti comica e grottesca, ma sempre sull’orlo del disastro sociale. Le vicende dei Ciraulo scorrono all’indietro nel tempo, prima accelerando e poi rallentando fino a sfiorare il fermo.