martedì, 19 Marzo 2024
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Sant’Agata: la santuzza catanese è anche patrona di Palermo

Resa celebre dalla devozione popolare già pochi anni dopo la sua morte, è ancora oggi una fonte dell’orgoglio siciliano

Di Agata, una giovane morta il 5 febbraio 251, si raccontano varie storie, una delle quali è maggiormente conosciuta: viveva a Catania e lì vi morì sotto la persecuzione cristiana voluta dall’imperatore romano Decio (201-251).

Questa tradizione narra che il proconsole Quinziano, sentendo parlare di una ragazza molto stimata per la sua devozione cristiana, cercasse in qualche modo di impossessarsene, essendo lei ricca, giovane e bella. La fa arrestare per consegnarla a una donna e alle sue figlie prostitute, al fine di distoglierla dalla sua fede allettandola coi piaceri terreni. Fallito il tentativo (“è più facile rammollire i sassi”), il console la obbliga a onorare i suoi dei pagani, e al suo rifiuto la fa chiudere in carcere. Viene poi torturata ai seni fino a strapparglieli. Riportata in carcere, la notte viene guarita dalle ferite durante le sue preghiere, ma ancora il console comanda di fare rotolare il suo corpo nudo su cocci di vetro e carboni ardenti, al che una scossa di terremoto lo impedisce, gettando però l’intera città nel panico. Gli stessi cittadini allora corrono a chiedere che la ragazza sia liberata prima che ogni cosa venga distrutta; Quinziano fugge, Agata torna nella sua cella e prega di potere lasciare questo mondo, e così avviene.

Un anno dopo, al primo febbraio, l’Etna iniziò a far scendere la sua lava sul territorio catanese, e dopo quattro giorni senza che si arrestasse  il popolo corse al suo sepolcro, prese il velo che lo copriva (il velo rosso destinato alle vergini consacrate) e lo stese davanti alla colata, che si fermò senza bruciarlo. Da quel momento fu ritenuta la patrona della città di Catania.

Di Santa Mente, Spontaneamente volta ad Onorare Dio e alla Liberazione della Patria, così è ricordata nel monogramma che si trova sulla Cattedrale catanese (M.S.S.H.D.E.P.L., Mentem Sanctam Spontaneum Honorem Deo Et Patriae Liberationem) che un uomo vestito di bianco pose nel suo sepolcro il giorno della sepoltura.

La santa è la protettrice delle donne che hanno malattie al seno, nella speranza di essere guarite come lo fu lei, il cui nome dal greco si traduce in “buona”, ma scomponendolo anche come “sacra a Dio”, “santa di Dio” (da aghios e theos). È rappresentata solitamente con due seni su un piatto e la palma del martirio, ma è diffusa anche l’immagine di lei tra due uomini che tengono le tenaglie in mano per strapparle il seno.

Nel Medioevo il suo culto arriva in tutta Europa, e la si invoca come protettrice delle donne, contro il fuoco e per benedire anche pane, acqua e vino. Sorprende sapere che sulla sua storia esistevano oltre duecento manoscritti che hanno permesso la diffusione del suo culto, e di sapere qualcosa anche sul suo legame con Palermo.

Perché Palermo? Potrebbe esservi nata tra il 229 e il 235, dato che si dice che la sua famiglia qui avesse delle proprietà, e in particolare alla Guilla, o che comunque all’avvio delle persecuzioni si fosse rifugiata qui. L’eco della sua santità in pochi anni arriva in tutta l’isola e persino nelle isole minori, celebrata anche a motivo della sua sicilianità, e diviene patrona della città di Palermo.

Ben quattro erano le chiese a lei dedicate in città (a santa Rosalia “soltanto” due), e il suo culto era veramente importante, insieme a quello delle tre sante che le fanno compagnia al secondo piano dei quattro canti di città, a difesa del Mandamento Tribunali (la Kalsa).

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