venerdì, 29 Marzo 2024
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Presentata a Palermo Leggendaria n°125, rivista di libri, letture, linguaggi

È stato presentato alla libreria Feltrinelli di Palermo il numero 125 della rivista Leggendaria dal titolo: “depresse non si nasce. Dov’è finito il desiderio femminile?”. La rivista ci racconta la moderatrice della presentazione, Gisella Modica, nasce prima negli anni ’80 come supplemento al mitico mensile Noidonne, fondato nel lontano 1937, per poi divenire nel gennaio del 1997 una testata autonoma e indipendente distribuita sia in libreria che per abbonamento.

Ideata e condotta da Anna Maria Crispino, la rivista assume il sapere e l’esperienza delle donne come punto di vista privilegiato del pensiero critico e mira a mantenere un approccio multidisciplinare e multiculturale che le permetta di rivolgersi a un vasto pubblico di donne e uomini, ma soprattutto alle giovani generazioni. Nel 2001 Leggendaria ha ricevuto il premio “Elio Vittorini” (VI edizione), sezione per gli inserti e le riviste culturali.
Ogni numero ci spiega Gisella Modica è dedicato a un tema, quello del numero presentato pone al centro il delicato tema della depressione, che statisticamente colpisce in numero doppio le donne rispetto agli uomini.

Il particolare approccio della rivista che privilegia il punto di vista critico-letterario, tenta di dare delle risposte chiamando in causa le scrittrici e poete, la cui produzione letteraria ha mostrato uno stretto binomio tra creatività e stato depressivo. L’obiettivo è quello di delineare il confine tra la depressione come patologia e quello stato personale e sociale, che già Aristotele definiva “melanconia dell’uomo di genio” che coinvolgendo la sfera del desiderio nelle donne si è espresso e si esprime ancora nel difficile tentativo di trovare “significazione” nella società patriarcale.

Ecco perché la scelta come relatrici di due donne, Maria Luisa Mondello psicoterapeuta e Clelia Lombardo poeta e insegnante, capaci d’imbastire il sottile filo fra cosiddetta melanconia e creatività sfatando tanti luoghi comuni. Ed è Maria Luisa Mondello che ci riporta subito su un piano reale. Della parola depressione, infatti, se ne fa spesso un uso assolutamente improprio, sia nel linguaggio comune che in quello dei mezzi di comunicazione. La depressione in senso stretto, ci ricorda la dottoressa Mondello, è un disturbo patologico che blocca l’energia vitale della persona, ne limita la capacità di entrare efficacemente in contatto con i propri bisogni e col mondo esterno.

Per cui la credenza che una produzione artistica possa attingere dalla totale perdita di sé, come per esempio ci raccontano talune esperienze legate all’uso di sostanze stupefacenti negli anni ‘60 e ’70, va sfatata. La scrittura come atto creativo complesso, razionale ed emotivo, presuppone una salda capacità relazionale e cognitiva. Altra cosa è, invece quello stato d’animo che potremmo definire melanconico, triste che rappresenta una risposta emotiva dell’individuo.

Nel corso dei secoli si è mitizzata la relazione fascinosa tra questo stato emotivo e il senso di vuoto che ne deriva e che porterebbe il poeta a vivere in maniera più intensa ciò di cui fanno normalmente esperienza gli altri esseri umani. Ciò premesso, aggiunge la dottoressa Mondello, possiamo domandarci nel caso delle donne, ma ciò vale anche per gli uomini, se il comportamento lesivo che scaturisce dallo stato di disagio possa divenire scrittura. La storia narrata è stata, e lo è in parte anche oggi, tutta nelle mani del maschile.

Il femminino ha storicamente subito un depotenziamento seppure la maternità con i suoi gesti abbia avuto il primo e più importante effetto sullo sviluppo cognitivo, emotivo e linguistico, cioè sulla capacità relazionale dell’individuo-società. La scrittura certamente s’identifica con chi la produce e in questo senso le donne sono rimaste “senza parole” per lunghi secoli, schiacciate e compresse in termini sociali. È a questa condizione, conclude la dottoressa Mondello, che va attribuita la sofferenza “della parola tolta” che pure fin dall’infanzia, in quanto parola della cura, è appartenuta quasi esclusivamente alla donna.
Clelia Lombardo, poeta, assume, invece, un punto di vista interno.

Individuare delle precise caratteristiche nella produzione letteraria di alcune poete/scrittrici del secolo scorso, che le portarono fino al suicidio, significa partire innanzitutto dalle maggiori difficoltà, in alcuni casi impossibilità che ebbero di essere amate e volute per quello che erano. In sostanza non si può prescindere dalle condizioni storiche e sociali in cui queste scrittrici del calibro di Amelia Rosselli, Marina Cvetaeva, Virginia Woolf, Sarah Kane, Sylvia Plath, Anne Sexton, Alejandra Pizarnik vissero e operarono che le costrinsero a scontrarsi con eventi drammatici, subendo forti pressioni emotive e sociali.

Tutto ciò incise in maniera determinante sulla loro creatività determinando un doppio peso, quello della creazione in senso stretto e quello del riconoscimento sociale delle loro opere. Questo è il canale che lega depressione e scrittura, un filo che scorre lungo la rabbia del mancato riconoscimento, quello che Clelia Lombardo definisce “togliersi la vita per troppa vita”.

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