giovedì, 18 Aprile 2024
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“Tutto è possibile” con la Strout e per i lettori.

Dopo il trasloco dalla piccola provincia americana alla metropoli e volendo mantenersi con propri mezzi di sostentamento con “l’obiettivo unico di scrivere”, la mainer Elizabeth Strout realizza il proprio sogno americano col Premio Pulitzer 2009. Il percorso per “scrivere” è stata faticoso, ma utile. Da un lato ha portato la Strout da un lavoro all’altro (dai diversi

Elizabeth Strout riceve il Premio Mondello ’12, sezione autore straniero, al Salone del libro di Torino (alla sua sx, in foto, il Prof. Giovanni Puglisi e a lato opposto lo scrittore Paolo Giordano).

ristoranti fino a suonare ai pianoforte nei cocktail bar; da fare la segretaria nel suo stesso college di studio fino a vendere materassi) e dall’altro le ha permesso di fare una notevole esperienza sul campo del lavoro (fianco a fianco a donne che lo hanno fatto duramente tutta la vita), che le ha permesso di ricevere materiale vivo per la sua scrittura. Un altro riconoscimento, in questa biografia breve, costituisce un contatto con la realtà siciliana ed è il Premio Mondello, nella 38esima edizione del 2012). Nell’occasione della consegna, in un incontro svoltosi pubblicamente a Torino al Salone del Libro, lo scrittore Paolo Giordano, grande fan della scrittrice statunitense, ha sottolineato: “I romanzi di Elizabeth Strout hanno, semplicemente, tutto. Il suo sguardo, da un’altezza vertiginosa, non perde un solo dettaglio: c’è un occhio per la famiglia, uno per la comunità dov’è immersa, uno a raggi X per i pensieri invisibili, uno per i cambiamenti epocali e un altro sempre distratto dalla natura. E puoi stare certo che, alla fine, una rivelazione arriverà. Come un raggio di sole che si è districato fra le nubi, ti colpirà dritto negli occhi. Non ho ancora trovato una persona, fra le tante alle quali ho raccomandato i libri di Elizabeth Strout, che poi non abbia sentito il bisogno di esprimere gratitudine. La proliferazione dei suoi lettori è virale e io non vedo l’ora che, attraverso il premio (Mondello, n.d.r.), il contagio sfugga al controllo. La mia è una missione: voglio creare un fan club di Elizabeth Strout, un gruppo di fanatici, una setta.”. Fatta questa premessa, poi conclusa dalle parole di Giordano con una vera e propria dichiarazione d’amore, è più facile dare le coordinate al lettore per indurlo a leggere la Strout in generale e, in particolare, l’ultima sua fatica “Tutto è possibile”, che ben potrebbe essere – con questo titolo – ritagliato alla sintesi di vita della stessa Strout. Con la sua scrittura acuta ed introspettiva, Elisabeth Strout ci ha abituato a ritratti indimenticabili di uomini e donne della provincia americana. “Tutto è possibile” (Einaudi, 2017, traduzione di Susanna Basso), sequel di “Mi chiamo Lucy Barton” (Einaudi, 2016), ha il medesimo espediente narrativo di “Olive Kitteridge”. Se in quest’ultimo romanzo – che le è valso il prestigioso “Pulitzer” –, il trait d’union era Olive Kitteridge, nella sua ultima fatica l’autrice fa ruotare i microcosmi dei personaggi attorno alla scrittrice Lucy Barton che la Strout immagina reduce dalla pubblicazione del proprio romanzo, ambientato nella cittadina di Amgash, Illinois, luogo in cui Lucy ha trascorso un’infanzia indigente e infelice. La sua storia è una storia di riscatto, simboleggia il desiderio di affrancamento di tutti i personaggi che si muovono in quella stessa Amgash da cui la stessa Lucy è partita giovanissima col proprio carico di dolore e vergogna. La Strout riesce a legare tutte storie con nodi stretti restituendoci un affresco vivido, interiore ed esteriore al contempo, che ricorda, per nitore e profondità, le pagine di Alice Munro (Premio Nobel per la Letteratura 2013). L’impellenza, il bisogno profondo di essere compresi è ciò che anima la carrellata di personaggi di questa raccolta. Charlie Macauley, che si scioglie in pianto davanti alla sconosciuta proprietaria di un Bed and Breakfast, o Abel Blaine, che in un teatro di provincia trova inaspettatamente un amico, sono solo due degli esempi dello stato di grazia che si può raggiungere quando si entra in connessione con un altro essere umano. La Strout ha scritto un altro libro potente ricordandoci che sono i piccoli momenti perfetti quelli che trasformano la solitudine in solidarietà, la vergogna in redenzione, il dolore in cura.

Elizabeth Strout (Portland, 06 gennaio 1956) vive a New York oggi. Prima di ottenere il Pulitzer 2009 è stata (nel 2000) tra i finalisti dell’Orange Prize e anche nominata per il Premio PEN/Faulkner per la narrativa. Ha pubblicato in precedenza, in Italia con Fazi Editore, “Amy e Isabelle”, “Resta con me”, “I ragazzi Burgess” nonchè “Olive Kitteridge”. “Tutto è possibile”, nonostante strutturato in raccolta di racconti, è il sesto romanzo in carriera per la scrittrice del Maine.

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