sabato, 20 Aprile 2024
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Il nuovo saggio ‘La pornofotografa e il cardinale’ nel dibattito della Roma di oggi

C’è un tempo per scrivere ed uno per riscrivere, come pure uno per leggere ed uno per rileggere. Nei corsi e ricorsi dello scrivere, il “ritorno” alla storiografia di un fatto è l’espediente che rende certe le aprioristiche profezie di ieri e che offre a
chi ha scritto la capacità di rendere fresco, in forma e contenuto, il proprio linguaggio. Il focuscioè il fatto storico su cui l’autore ritornaresta dunque fermo, mentre le riflessioni e prospettive –  che producono nuovi effetti sull’opera saggistica – si dilatano, di fronte a un’attualità in costante o altalenante progressione. Un saggio, pertanto, potrà avere staticità precaria e resterà, comunque, subordinato alla legge del subentro, come pure della integrazione, da parte del suo stesso autore come pure di un altro. Se l’autore, quindi, nella sua longeva vita, ritorna su un suo saggio, per etica di servizio o per impegno socio-politico, perché non farlo pure noi lettori con le nostre letture? In questa chiave rappresentativa deve essere interpretato l’imminente ritorno in libreria, grazie al pluriennale sodalizio con la siciliana casa Editrice Bonfirraro (Barrafranca, in provincia di Enna), il saggio di Mauro Mellini, dal nuovo e curioso titolo, “La pornofotografa e il cardinale. Storia di una pentita celebre e di un processo infame nella Roma papalina del 1862” (pagg.256, € 16,90). Questa produzione, a distanza di 35 anni dalla precedente dello stesso autore, prende spunto dall’edizione in libello dal titolo “Eminenza, la pentita ha parlato” (Pironti Editore, anno 1982, pagine 141) e si riferisce al fenomeno del pentitismo: dal suo uso e abuso al suo potenziale intrinseco e fino alla capacità distorsiva e decostruttiva della o delle verità. Partendo da un fatto storico del nostro Risorgimento e della romanità papalina di metà ‘800 del secolo scorso viene scandagliato un tema scottante, sul fronte socio-politico e giudiziario della nostra contemporaneità. Il fatto storico narra della Roma di Pio VII nel vortice di uno scandalo. Maria Sofia Wittelsbach, ultima sovrana del Regno delle Due Napoli, e sorella minore dell’Imperatrice Elisabetta di Baviera (nota meglio a tutti con il diminuitivo di Sissi), è stata appena deposta, dopo l’assedio di Gaeta, dall’esercito piemontese. Riparatasi, dopo la fuga da Napoli, col marito a Roma, Maria Sofia è vittima di un deprovevole scandalo: sarebbe stata fotografata nuda durante il suo forzoso esilio. Le foto sarebbero state messe in circolazione da agenti liberali filo-piemontesi. C’è dunque del vero nella vicenda, ma in parte, perché attiene la forma, cioè il mezzo dello scandalo, e non il contenuto, cioè il soggetto ritratto. Le foto, infatti, ritraggono un nudo, da un lato, ma sono, dall’altro, una macchinazione perché ad esserne soggetto non è la regina. In pratica, le foto sono una mistificazione frutto di uno dei primi fotomontaggi della storia della fotografia. La gendarmeria pontificia, coinvolta in prima linea, verrà a capo del complotto e questo grazie alle disinvolte rivelazioni di Costanza Vaccari Diotallevi, una pentita che con le sue “confessioni di parte” accetta, in questa macchina del fango ante-litteram, di farsi strumento nello scontro interno al governo papalino tra il capo della gendarmeria pontificia, De Merode, e il porporato Segretario di Stato, Cardinale Antonelli. Con la prefazione del giornalista Guido Vitiello, il testo in questione ripropone il dibattito, mai chiuso e con piena lucidità, sulla pericolosa deriva del possibile “pentitismo strumentale” e dei suoi effetti deleteri nel sistema giudiziario fragile di oggi. Mauro Mellini, oggi novantenne, strenuo difensore del garantismo, con un passato da noto avvocato del Foro romano, ex parlamentare radicale negli anni ‘70 e ‘80 e più tardi membro del Consiglio Superiore della Magistratura, torna a riscrivere, probabilmente, perché, come sosteneva qualcuno, che qualcosa di scrittura ne sapeva, e cioè Italo Calvino: “Scrivere è sempre nascondere qualcosa in modo che venga poi scoperto”. E cosa potremo scoprire di nuovo oggi noi lettori in questa nuova ampliata rilettura se non leggendo?

 

Mauro Mellini ha intrapreso la sua attività di saggista – scrivendo: “Così annulla la Sacra Rota” (1968) e “Le Sante Nullità” (1974) – in seno alla campagna per l’approvazione e la difesa dell’istituzione del divorzio, di cui è stato uno degli animatori. Successivamente è stato impegnato in altre battaglie politiche come deputato, tra il 1976 ed il 1992. Nel biennio 1993-1994 è stato componente del Consiglio Superiore della Magistratura e, in aggiunta, fondatore del movimento e del periodico “Giustizia Giusta”, attualmente in rete e non più in supporto cartaceo. Le questioni riguardanti la giustizia e le legislazioni speciali, anche nella loro prospettiva storica, dei cosiddetti pentiti sono stati argomento principale della sua opera saggistica. Dopo il saggio dal titolo “Eminenza, la pentita ha parlato” (Pironti editore, 1982) sono usciti, tra alcuni dei tanti titoli e in merito al tema del pentitismo malato: “Una Repubblica pentita” (con la prefazione di Enzo Tortora, Anno 1984), “Il Giudice e il Pentito” (Sugarco edizioni, 1986), “Nelle mani dei pentiti – il potere perverso dell’impunità” (Editore Spirali, 1999), “Tra corvi e pentiti” (Koinè Nuove Edizioni, 2004). Con l’editore siciliano Bonfirraro ha pubblicato, in questi ultimi anni: “Il partito dei magistrati” (Anno 2011, pagine 208), “Ritorno a Tolfa” e “Gli arrabbiati d’Italia” (entrambi nel 2013), “Il mercato dei Marò” (Anno 2014, pagine 128).

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