venerdì, 19 Aprile 2024
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Il dolce naufragar nel mare della Favara: il Castello di Maredolce a Palermo

Detto anche Castellaccio, oggi un’isola verde totalmente nascosta dall’edificato di Brancaccio, protagonista e sfondo di mille anni di storie.

Una volta, lontano dalla città di Palermo, si stendeva dal Monte Grifone verso il mare una terra molto fertile e irrigata da due sorgenti, una più grande e l’altra più piccola, che gli Arabi chiamavano al Fawwarāh (la Favara, sorgente).

Questa grande sorgente, probabilmente quella che poi fu chiamata di san Ciro, segnava il limite di una costruzione voluta dall’Emiro kalbita Ğa’far (997-1019, il Giafar cui è intitolata una strada della zona); un rabit, ossia una struttura a scopo difensivo e di avvistamento dei nemici (ricordata come Qasr, castello o accampamento).

Il retro del "regio sollazzo", un tempo bagnato dal lago. Si nota il basamento realizzato in età araba
Una facciata del “regio sollazzo”, un tempo bagnata dal lago. Si nota il colore diverso del basamento realizzato in età araba

Dopo l’arrivo dei Normanni, si attribuiscono al re Ruggero II (1095-1154) le modifiche al “castello” per trasformarlo in sollazzo, una residenza estiva in cui godere delle delizie della terra. A tale scopo il re utilizza il perimetro dell’edificio arabo (se ne scorge ancora oggi il basamento, guardando i fronti esterni) modificandolo in alzato, ed edifica una cappella dedicata a san Filippo, secondo alcune fonti invece attribuita ai santi Filippo e Giacomo insieme.

Nel cortile rettangolare fa costruire un porticato con volte a crociera, ma è sul retro della struttura che fa sorgere quello che rimarrà impresso nella memoria di tutti gli ospiti che vi hanno soggiornato: sfruttando la sorgente e l’acqua proveniente dalla falda sottostante, realizza una diga e regolarizza il fondo di quello che diventa un lago artificiale, al centro del quale, intervenendo sulla roccia esistente, compone un’isoletta dove crescono agrumi e palme. È l’arabo Ibn Ğubayr a scrivere di una “polla d’acqua dolce” che alimenta la vegetazione, nel 1184. Ed è a partire da questa definizione che il sito verrà anche denominato Maredolce, il Castello lambito su tre lati dall’acqua.

Il "cupolino" della chiesa di San Filippo a Maredolce
La chiesa di San Filippo a Maredolce vista dal cortile interno, si nota la “torretta” normanna che racchiude la cupola.

Le notizie successive sono frammentarie: risulta lesionato nel 1282 dalla guerra del vespro, e nel 1328 viene concesso da Federico II d’Aragona ai Cavalieri Teutonici, che avevano sede alla Magione. Viene probabilmente trasformato in ospedale, ma si ha notizia di vari utilizzi dell’edificio e dei terreni per vari scopi: i Cavalieri affittavano le terre, e risale tra il Quattrocento e il Cinquecento la realizzazione di quattro fornaci, di mulini per macinare la farina, di pascoli e coltivazioni di cannamele, vigneti, frutta e ortaggi.

In particolare nel Quattrocento è la famiglia Bologna a sfruttare i terreni; nel Settecento sono acquisiti dai Federico, le cui tenute danno origine alla zona di Conte Federico, per diritto di vicinanza. La famiglia Federico si imparenta con una ricca famiglia catalana, quella degli Agraz, continuando l’utilizzo dei terreni e acquistandone altri, portando avanti un’attività economica di grande rilievo per Palermo. Si producono anche vino, cereali, fichi d’india e sono presenti due cave di calcare, sul monte Grifone.

Non venendo mai adoperati come abitazione, i locali di Maredolce vanno deteriorandosi. Verso la fine del Settecento si fanno alcuni interventi di consolidamento, mentre il Senato palermitano decide di intervenire su quanto rimaneva del lago: considerando i ristagni d’acqua fonte di malaria, si interviene per la modifica del canale di alimentazione e il re Ferdinando II di Borbone, visitando il cantiere, ordina che l’isoletta rimasta senza lago venga smantellata (intorno al 1834).

Da questo momento in poi l’edificio cade in totale abbandono. Nei primi del Novecento iniziano i restauri della cappella, ad opera di Francesco Valenti, e un altro nel 1937-39 da parte dell’architetto Mario Guiotto. Si consolidano le murature e si avvia un provvedimento di vincolo. Ciononostante, specie nel cortile, sorgono numerose abitazioni anche sopraelevate nella muratura del Castello, trasformando il cortile nella piazza Castellaccio, con tanto di numeri civici.

Nel 1985 si comincia a parlare del recupero integrale di Maredolce. Si avviano le opere di esproprio, e a più tornate la Soprintendenza dei Beni Culturali restituisce una forma all’edificio, alterata dall’abusivismo, e agli argini del lago distrutti, anche se questo non può più essere alimentato dalla Favara come una volta, dato il taglio dell’autostrada A19.

Anziché un lago, oggi, dopo avere percorso le sale del palazzo, quando si esce sul retro sembra di essere usciti fuori anche da Palermo, perché è una distesa verde e florida che ancora dopo millenni (sono state trovate tracce di una probabile fattoria risalente al III-II secolo a.C.) sopravvive nel bel mezzo degli alti condomini di Brancaccio.

Solo momentaneamente, si spera, escluso dalla lista dei patrimoni dell’umanità Unesco, Maredolce è unico per la sua storia millenaria e per essere un’opera prima araba e poi normanna, che abbraccia una pluralità di culture come l’isola sulla quale sorge.

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