venerdì, 19 Aprile 2024
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ΠAN di Dario Panzica. La personale di scultura si inaugura domani da Studios

La mostra, con progetto grafico di Francesco Ferla, sarà visitabile dal 10 al 24 marzo

Sabato 10 marzo, alle ore 19, presso Studios in via Notarbartolo 36 a Palermo, si inaugura “ΠAN”, la personale di scultura di Dario Panzica, per il progetto grafico di Francesco Ferla.

La mostra sarà visitabile sino al 24 marzo dal martedì al sabato dalle 17:00 alle 19:00 con ingresso gratuito.

Le sculture esposte in “ΠAN” sono immagine dell’inconscio umano: le paure, la parte profonda e/o infantile, i nuovi miti e/o le immagini oniriche tradotte in forme. Forme probabilmente ossidate dal tempo, fossili, cristallizzate, simmetriche, forgiate nel profondo dell’animo da materia organica e minerale allo stesso tempo.

Idee predeterminate e universali, visioni collettive, con sembianze provenienti dalla natura ma con il contenuto e la forma del pensiero, con radici nell’arcaico ma proiettati in un lontano futuro. Immagini evocative dei miti antichi ma anche dei miti contemporanei.

Πάν (Pan, tutto) il mito greco ma anche la più recente sindrome, Pangea e Pantalassa, il supercontinente bagnato dal mare primordiale, il mito di Pandora, la prima donna creata per punire l’umanità, la Panacea, la personificazione della guarigione universale e onnipotente ottenuta per mezzo delle piante, ma anche la concezione filosofica del Panpsichismo in cui il cosmo risulta animato da un principio intelligente e popolato da centri d’energia o monadi (μόνος uno).

Lo sfondo di queste nuove icone collettive sono mondi impossibili ma probabili: Marte, la luna, lo spazio, il deserto, l’acqua sotto forma di ghiaccio, l’energia di un vulcano.

Tutte le forme di questa ricerca sono basate sul concetto di un organismo antico dalla morfologia distinguibile ma evoluto, come il pensiero umano. L’osservatore potrebbe riconoscere una certa familiarità andando alla ricerca all’interno del suo archivio inconscio d’immagini senza però riuscire a definire cosa sia precisamente. Un prodotto umano, naturale, fossilizzato che si evolve e si vede proiettato nel futuro.

Locandina mostra

È un gioco, è come esplorare il buio, la profondità, curiosare nella forma-non-forma, riprodurre immagini arcaiche e primordiali, organismi non reali, spazi interiori di gioco, geometrie naturali nel mare della memoria, acque marine scure nei ricordi infantili, infinite forme antiche ossidate dal tempo, luoghi nascosti, gli oggetti ritrovati in riva, piccoli pezzi di natura, realtà e immaginazione, castelli di sabbia, pietre e conchiglie, pezzi di vetro, polveri, acque, sale, spazio … “  Dario Panzica

La scultura di Dario Panzica di Francesco Ferla

E’ difficile inquadrare l’opera di Panzica in categorie, cliché, schemi collaudati. Ma è possibile farne un quadro per comprendere la complessità del suo linguaggio. Si tratta della scultura di un uomo mediterraneo, con una cultura classica, una preparazione tecnica e scientifica tipica dell’architetto, e la passione verso la natura. I suoi sono organismi, senz’altro, con una quota organica, ma lo sviluppo della texture, delle membrature, sembra seguire una dinamica evolutiva che potrebbe essere quella di vegetali, o vertebrati, ma anche di forme cristallografiche, inorganiche, minerali. Questo processo di ibridazione è impressionante; sembrano fossili di organismi ormai litoidi, e la texture del bronzo ne accentua il carattere invece tecnologico, come fossero organismi vivi ma della stessa materia di un pianeta più avanzato. Le superfici di questi esseri si snodano a spirale, come trame di una fibra tecnologica avanzata, si espandono, si contraggono, come esoscheletro, ma anche di una struttura scheletrica interna, fitomorfica, anche antropomorfica. E questi organismi, quando hanno una connotazione antropomorfica, evidenziano la cultura classica dell’autore, sia quella greca, nell’interpretazione del mito marino, sia quella rinascimentale, con un evidente gigantismo delle mani, dei piedi, come elementi simbolici della figura umana. Mani, piedi, innervate da vene a rilievo, dove pulsa la linfa vitale; un omaggio michelangiolesco, alla rappresentazione. Il mito, ovunque, in queste opere, che sono sublimazione di un sogno subacqueo, probabili esseri marini ancestrali, o forme oniriche spaziali. Potrebbero trovarsi nel fondo del mare, e la trama ossidata del bronzo ne sarebbe manifesta provenienza, ma potrebbero essere organismi che affiorano dalle polveri di Marte, come traccia di antiche estinte forme organiche. E’ questa perenne dicotomia, su ogni aspetto dell’opera, che ne svela la potenza. Si tratta quindi di un mélange di sensazioni, evocazioni, visioni, frutto della cultura stratificata di un uomo che osserva il mondo, e fonde elementi eterogenei in combinazioni possibili solo nella sintesi dell’arte. Una forma di mitologia del futuro, che ha radici forti nel passato, che si disvela dal mare. Ed è forse il mare, alla fine, nel suo carattere universale, archetipale, a legare tutti questi elementi, con una densità di suggestioni che legano la classicità al linguaggio moderno, cinematografico, in bronzi che danno vita a personaggi spaziali, sedimentati tra sassi. Anche le icone del mito contemporaneo sono indagate dall’autore, come l’immaginario collettivo legato ai media, come le figure spaziali giapponesi, che, realizzate in bronzo, sembrano sedimentarsi nei fondali marini come oggetti classici. Il fondale marino è l’inconscio sul quale si depositano tutte le forme del mito, da quello antico, al contemporaneo, fino ad una forma di mito futuro immaginario. E’ un caleidoscopio di emozioni che forse solo un siciliano può generare, nel conflitto e unione perpetua tra Eros e Thánatos, tra antico e moderno, fluido e rigido, liscio e ruvido, organico e inorganico, terrestre e spaziale, maschio e femmina, che è, nella filosofia greca, il concetto di PAN, la complessità del tutto che esprime il mondo.

Francesco Ferla 2018

 

 

 

 

 

 

 

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